Vendemmia: L’annata singolare di Cantina di Venosa

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Vendemmia presso la Cantina di Venosa

Lunedì 7 ottobre è stato l’ultimo giorno di vendemmia per Cantina di Venosa (PZ). Un’annata caratterizzata da un anticipo di due settimane e mezzo: il moscato a partire dall’11 agosto, poi la malvasia, il merlot per i rosati, altre uve per le basi spumanti, il greco bianco di Basilicata e infine il vitigno più importante del territorio, l’aglianico del Vulture, con 20 giorni d’anticipo dal 25 di settembre, e la cui vendemmia si è appena conclusa. Il 2024 sarà ricordato dai 300 soci di Cantina di Venosa, la più importante cooperativa vitivinicola della Lucania, sia per l’alta qualità delle uve sia per la bassa quantità del raccolto: un calo del 50%, a causa della siccità, rispetto al 2022. La produzione ammonta a 26-27mila quintali, a fronte dei 55mila quintali che in media i soci raccoglievano ogni anno. Unica eccezione nel trend produttivo il 2023, quando a causa della peronospora – grave malattia crittogamica della vite – andarono in vendemmia appena 14mila quintali di uve; quasi la metà dell’attuale annata.

«L’andamento climatico primaverile – spiega l’enologo di Cantina di Venosa, Donato Gentile – ha fatto sì che ci fosse già un anticipo nel germogliamento, poi il ritorno di freddo successivo ha rallentato lo sviluppo dei tralci e questo ci ha un po’ aiutati. Si è verificato però un aumento importante delle temperature estive a partire da inizio luglio e un’accelerazione della stagione vegetativa. Nonostante ciò per noi il raccolto è stato eccezionale in termini di qualità, le uve sono straordinarie per maturazione e complessità: essendo in quantità molto inferiori alla media la pianta è riuscita a portare a perfetta maturazione i grappoli con facilità. Inoltre – continua l’enologo Gentile – è stato più facile ottenere uve di tale livello perché ci troviamo in un’area dalle particolari condizioni micro-climatiche, quasi nordica pur essendo in sud Italia, alle pendici del vulcano Vulture, nell’entroterra, con vigne coltivate su colline tra i 350 e i 550 metri sul livello del mare. Un territorio caratterizzato da un’ottima escursione termica notturna, con cali di temperature tali da poter mantenere una buona acidità delle uve; e questo conferisce maggior qualità. Invece, nelle zone più basse, in altre aree d’Italia, dove ha fatto molto caldo ho sentito vari produttori che lamentavano un calo dell’acidità e questo può influire negativamente sul potenziale di longevità e l’equilibrio dei vini. Ma da noi non è avvenuto. E un po’ è merito anche del lungo lavoro di zonazione degli anni passati, quando siamo andati a individuare le zone più alte e più adatte per la coltivazione della vite, capaci di preservare meglio l’acidità dei grappoli. È stato il nostro punto di forza e così il caldo non ci ha intaccati».

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