Cervelli in fuga, cervelli che restano a dispetto di tutto, e cervelli che abbandonano il ricco e opulento nord del mondo per stabilirsi in Italia. È il caso di Helena Lindberg, nata a Moheda, in Svezia, laurea in Ingegneria chimica, padre ingegnere e madre farmacista, dal 2004 responsabile del settore enologico di Tenuta di Biserno, a Bibbona. La sua è la storia di una donna che non ha mai avuto paura dei cambiamenti, che non è ancora disposta a fermarsi o “accontentarsi” e che si è innamorata del vino e del suo mondo per caso. Ma non per caso ha deciso di dedicargli la sua vita.
Helena, qual è la sua storia? Quando e dove nasce? Che bambina era?
Sono nata nel sud della Svezia ad aprile del 1964, ho vissuto in Svezia fino all’età di sette anni e mezzo, quando la mia famiglia decise di trasferirsi in India. Mio padre era ingegnere e accettò un lavoro per un’azienda a Poona (Pune). Così a fine ‘71, in piena guerra tra India e Pakistan, ci siamo trasferiti in India con i miei tre fratelli, uno più piccolo di me e due più grandi. In india ho potuto conoscere un nuovo mondo, da bambini ci si adatta anche più facilmente, ero curiosa e ho imparato molte cose. Ho vissuto tre anni e mezzo in India e studiato in una scuola per ragazze, ero l’unica bianca della mia scuola. Nell’ultimo anno indiano poi ho studiato in un collegio misto con i miei fratelli, un po’ lontano dai nostri genitori. Dopo tre anni, io e i miei fratelli siamo tornati in Svezia per continuare gli studi e mamma e papà ci hanno raggiunti un anno dopo, nel ‘76. Sono sempre stata abituata a spostarmi, a fare le valigie, sono abituata ai cambiamenti. Ho finito il liceo e ho cominciato l’università studiando ingegneria chimica a Göteborg.
Qual è stato il suo percorso professionale prima di Biserno e come si è avvicinata al mondo del vino?
Ho studiato Chimica organica e inorganica, dopo due anni però ho deciso di prendermi un anno sabbatico per andare in Francia a studiare il francese: ero giovane ed era il momento giusto per farlo. Poi sono tornata in Svezia a finire gli studi. Il mio primo lavoro è stato in una fabbrica svedese che si occupava di ricerca e sviluppo di imballaggi alimentari.
Mi sono avvicinata al vino durante l’anno francese, poi, una volta tornata in Svezia, ho conosciuto Munskänkarna, un’associazione di amanti di vino che organizza corsi e degustazioni e con loro ho iniziato ad avvicinarmi all’enologia, ho imparato a conoscere meglio il vino e ad affinare il palato. Ho capito subito quanto fosse un prodotto meraviglioso, pieno di chimica, pieno di ricerca e sviluppo, pieno di scienza e di altre cose affascinanti. Poi c’è la storia, la cultura, la geografia, i paesi. Ho pensato “questo è il prodotto perfetto”. A ogni periodo di ferie che avevo dal lavoro tornavo in Francia a visitare la Borgogna, la Loira, ma ho viaggiato anche in Spagna, dove ho fatto un interrail zaino in spalla per avvicinarmi ai territori e al loro vino.
Il mio sogno sin da piccola, però, era fare un viaggio in Australia. Il periodo australiano è iniziato come una vacanza, poi ho capito che nella vita si possono fare tante cose, non bisogna rimanere fermi, così ho fatto richiesta per avere il visto lavorativo nell’estate ‘94. Ho venduto l’appartamento in Svezia, mi sono licenziata e ho cercato lavoro lì. Mi ha assunta Yalumba Winery, la più antica cantina australiana a proprietà familiare, come operatrice per la vendemmia del ‘95. Non ero ancora enologa quando mi proposero un lavoro in Nuova Zelanda come wine assistant. Non avevo un diploma da enologa ma avevo letto e studiato in autonomia e ho cercato di imparare al massimo. Ho fatto le valigie e ho accettato il lavoro da Nautilus Estate, la più prestigiosa realtà vinicola della Nuova Zelanda.
Dopo tre anni in questa posizione, decisi che era il momento di tornare in Europa e mi licenziai di nuovo per tornare nel sud della Francia. Per 4 anni ho avuto contratti a tempo determinato in varie aziende nel periodo delle vendemmie e, nel frattempo, mi sono iscritta a un corso alla Facoltà di enologia francese. Ho avuto i professori più conosciuti dell’università e grazie a loro ho acquisito un diploma di degustazione.
Dalla Francia, come è arrivata a Tenuta di Biserno?
Avevo tanti contatti, mi sono sempre tenuta tutte le porte aperte per poter scegliere liberamente. La Francia mi piaceva, ma un giorno un mio conoscente mi ha parlato del progetto per la nuova Tenuta di Biserno in Toscana. Mi disse “potresti scrivere una lettera perché potrebbe essere un’ottima occasione di lavoro per te”, così nel luglio 2004 scrissi al marchese Lodovico Antinori. Avevo voglia di provare a lavorare con l’uva, avevo il sogno di far esprimere l’uva, di vedere cosa poteva dare l’uva senza tanti interventi. Avevo lavorato con tante cantine sociali in Francia e avevo voglia di lavorare in un progetto per fare vini top, per me era una sfida.
I vigneti erano ancora giovani, la cantina da attrezzare, i vini da mettere a punto. Come si è approcciata al progetto della Tenuta?
Non lo avrei mai immaginato, vedere nascere un progetto così era un sogno che si realizzava. Bisognava cominciare a vinificare. Abbiamo iniziato a lavorare con Michel Rolland, ancora oggi consulente di Biserno. Io avevo, e ho tutt’oggi, la responsabilità del quotidiano, delle scelte preliminari, dei campionamenti per impostare il taglio del vino definitivo.
Qual è il futuro del vino secondo lei?
La sfida del futuro a mio avviso sarà riuscire a stare dietro al cambiamento climatico che stiamo vivendo. In questi 20 anni ho potuto vedere personalmente il cambiamento che c’è stato in questa zona (Bibbona, ndr), bisogna sapersi adattare al clima e non è facile né per chi gestisce la vigna né per chi fa il vino. Fare vini equilibrati e armoniosi non è facile, ogni terroir ha il suo modo di esprimersi e bisogna proteggere la qualità per fare meno danni possibili al prodotto dell’uva. È facile fare l’aceto, il vino è più difficile, il lavoro per non perdere la qualità è tanto.
Parliamo di donne visto che sta arrivando l’8 marzo. C’è ancora una predominanza maschile nel mondo dell’enologia. Ha avuto difficoltà a entrare nell’ambiente?
Sì, ancora oggi c’è una predominanza maschile, ma sono cresciuta con tre fratelli e ho studiato ingegneria chimica dove in prevalenza erano tutti ragazzi. Ho sempre vissuto in un mondo circondata da uomini, ero già abituata. Non è facile, certo, ma ho sempre cercato di fare del mio meglio senza pensare alla differenza tra uomo e donna, penso meno a quello e più al vino. In ogni settore ci sono sempre sfide per le donne però per prima cosa bisogna lavorare bene.
Secondo lei c’è differenza tra i vini fatti da uomini e i vini fatti da donne?
Non è detto. Per me l’importante è cercare di far esprimere l’uva e il terroir. Ogni enologo mette il suo ma il mio ruolo è fare i vini per l’azienda, non faccio i miei vini, devo rispettare l’anima della Tenuta. Mi spiego meglio: metto tanto del mio, però la mia responsabilità è fare vini che siano sentiti e voluti dall’azienda.
Quali sono i suoi vini preferiti?
Ovviamente mi piacciono i vini Biserno, ma se dobbiamo escluderli, apprezzo molto i vini italiani, i vini campani, piemontesi, i siciliani della zona dell’Etna. Se dovessi sceglierne uno solo, però, opterei per il Pinot Nero di Borgogna. Certo, anche un Sauvignon neozelandese, bevuto ben fresco, all’ombra di una calda estate.
Qual è il momento in cui si concede un bicchiere di vino non per lavoro ma per piacere?
Degusto tutti i giorni per lavoro. Per apprezzare un bicchiere di vino devo essere in vacanza e rilassata. Spesso, se durante la giornata ho degustato molto e la bocca è stanca, per rilassarmi e staccare bevo una birra.
Che cosa deve fare un enologo per continuare a crescere e a migliorarsi?
Essere curioso, avere la voglia di imparare e lavorare duro. La perfezione non esiste, ci sono sempre tante cose da fare per migliorarsi, ma bisogna mantenere la mente aperta per scoprire e ricercare i miglioramenti. Ogni vendemmia è diversa dall’altra e c’è sempre occasione per mettersi alla prova.
Che donna è oggi?
Una donna che ha sempre voglia di crescere e di imparare. Ho sempre voglia di nuove sfide e di fare nuove scoperte per tenere la mente viva e allenata. Non sono pronta a fermarmi, non dico mai basta, non riesco a stare ferma per troppo tempo.