Il grande Barolo Chinato

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Barolo Chinato Cocchi
Barolo Chinato Giulio Cocchi. Photo Credits www.cocchi.it

Il vino è cantato fin dall’antichità come uno dei mezzi per curare le ferite del corpo e dell’anima, se però per i prodotti più conosciuti questo è puramente teorico – pensiamo all’espressione “il vino fa buon sangue” – per il Barolo Chinato ci sono prove storiche e scientifiche delle sue virtù terapeutiche.

Cenni storici sull’origine del Barolo Chinato

A livello storico dovremmo partire dall’uso egizio di miscelare il vino con erbe curative. Processi ripresi in epoca greca e latina, ma poi in parte persi nei secoli fino a che – a metà dell’Ottocento – ci si è accorti che alcuni preparati medicamentosi erano alcol-solubili, quindi potevano essere uniti a bevande alcoliche per essere accettati più facilmente dai pazienti. Una lunga tradizione che trova la sua espressione più moderna, e gustosa, con le prove di un farmacista (o due, in base alle diverse ricostruzioni) delle Langhe.

Di certo sappiamo che Giuseppe Cappellano, di Alba, unì le proprietà curative della China, ma non solo, alla struttura solida del Barolo, arricchendo il tutto con una parte di zucchero così da smorzare l’amaro di alcune erbe. Ricetta poi perfezionata a quanto pare da un altro farmacista langarolo, Mensio, di cui però si hanno poche notizie. A far conoscere questo preparato anche fuori dalle Langhe fu però un vignaiolo, Giulio Cocchi, che nel 1891 ad Asti diede vita ad una produzione specifica, mettendo così a punto il vino che ormai da tutti è conosciuto come “Barolo Chinato”.

La sintesi storica poggia su alcuni elementi scientifici da non sottovalutare. Dalla corteccia dell’albero di China Calissaja – originaria de Perù, coltivata in molte regioni dell’Asia sud-orientale, in Giamaica ed alcune regioni africane – si estraeva fin dal 1600 uno dei pochi rimedi utili contro la febbre, e soprattutto la Malaria, ovvero il famoso “chinino”. Pur conoscendo le proprietà della China da due secoli, il principio attivo fu isolato solo agli inizi del 1800 in Francia.

Appena ci si accorse della sua facile solubilità nell’alcol, nacque il fiorente mercato per le molte bevande a base di China usate, appunto, come corroboranti e vere e proprie medicine. All’epoca la scienza medica si appoggiava ancora moltissimo sulle proprietà delle erbe e dei preparati da esse estratti, lavorazioni tipiche delle farmacie del tempo. Il successo delle bevande alcoliche “chinate” fu notevole ma poi, con il perfezionamento medico e farmaceutico, queste scomparvero. Tutte tranne, appunto, il nostro Barolo Chinato.

Il segreto produttivo alla base del vino

Perché il Barolo Chinato sopravvisse pur non essendo più una “medicina”? Perché le ricette messe a punto negli anni partendo da Cappellano, poi divenuto anch’egli produttore di vino, Cocchi e gli altri erano riuscite a rendere quel vino così buono che non serviva più la prescrizione del medico per apprezzarlo. La base di partenza è, obbligatoriamente, l’uso di vino Barolo Docg. Sono escluse quindi dal disciplinare di produzione eventuali altre miscele, vini a base Nebbiolo di minore qualità o addirittura prodotti con altre uve.

E questa è sostanzialmente l’unica parte “certa” della ricetta, nel senso che il resto è gelosamente conservato da ciascun produttore, almeno nelle dosi. Gli ingredienti fondamentali sono noti, oltre al vino Barolo Docg c’è di sicuro estratto di China Calissaja, e quasi tutti aggiungono Rabarbaro, Cardamomo e Genziana. Il resto, appunto, fa parte delle singole ricette, quindi è possibile aggiungere Chiodi di Garofano, Anice stellato, Noce moscata ecc. Le erbe subiscono un processo di estrazione tramite alcol etilico in varie fasi, della durata di circa 45 giorni, il risultato viene poi filtrato e aggiunto al vino.

Nell’ultima fase di preparazione si aggiunge zucchero e alcol etilico, portando il prodotto alla gradazione finale di circa 16,5°. Da questo momento inizia una fase molto delicata, le diverse componenti devono infatti miscelarsi a dovere. Si procede quindi con un rimescolamento continuo per diverse ore, prima di una fase di decantazione e poi di un travaso. Il vino riposa ancora in acciaio per circa un mese così da subire una seconda decantazione, al termine della quale si procede al trasferimento in recipienti di legno, barrique o botti di rovere, per un affinamento che varia dai 6 mesi ad un anno in funzione della scelta del produttore.

Il Barolo Chinato, pur rispondendo ad uno specifico disciplinare ed essendo a tutti gli effetti un “vino”, rientra nella categoria dei vini aromatizzati o, più in generale, dei vini “speciali”, per i quali sono cioè ammesse pratiche enologiche solitamente vietate per tutti gli altri vini. Nello specifico, sarà saltato subito agli occhi dei lettori più esperti, parliamo di arricchimento zuccherino e aggiunta di alcol, oltre che naturalmente dell’aromatizzazione stessa.

Degustazione e abbinamenti del Barolo Chinato

Da medicinale a vino per appassionati il passo non è stato brevissimo. Il Barolo Chinato è, come detto, un sopravvissuto di una certa pratica molto diffusa. Altro esempio di vino aromatizzato piemontese è la Barbera, che però non ha dato gli stessi risultati soprattutto in virtù di una acidità che spesso ha reso il prodotto finale troppo difficile da consumare. Soprattutto perché unita al timbro organolettico della China che è un sapore amaricante, quello che faceva un tempo del Chinino una medicina sgradevole ai più. Ovviamente la ricetta che ha portato al successo il Barolo Chinato passa attraverso il mix di zucchero e altre erbe che, pur mantenendo sul finale una parte di amaro, rende il vino molto più gradevole.

Nello specifico quello che colpisce immediatamente è l’aspetto olfattivo, gli aromi delle erbe si integrano alla perfezione con quelli fruttati del vino e con i terziari dovuti all’affinamento in legno. Il susseguirsi di sensazioni dolci e pungenti rende l’approccio subito intrigante, invitando a scoprire poi quello che c’è nel bicchiere. Al gusto, come detto, il vino si presenta di bella struttura – è pur sempre un Barolo! – con una grande armonia, soprattutto per le etichette più pregiate, tra ingresso morbido e finale amaricante. Una concentrazione di gusto davvero notevole, vino vellutato e di lunghissima persistenza anche nelle sensazioni retro-olfattive, dove ritornano le diverse sfumature delle erbe aromatiche.

Da medicinale a corroborante a vino per tanti piccoli malanni, il Barolo Chinato ha visto il suo utilizzo piegarsi a tante occasioni diverse. Per lungo tempo nella tradizione langarola era il vino che, bevuto caldo, aveva capacità antipiretiche e digestive, insomma il classico rimedio efficace e anche buono per raffreddori e mali di stomaco. Poi però, vista la sua piacevolezza, divenne il vino per gli ospiti, servito come gesto rituale per i nuovi arrivati. Ad oggi il Barolo Chinato è il vino adatto al fine pasto, in accompagnamento a dolci e in particolare a quelli al cioccolato.

Così come il Porto, in quanto vino rosso, riesce a sostenere meglio la carica gustativa del cioccolato puro, anche fondente. Più azzardato, ma non per questo meno soddisfacente, è l’abbinamento con alcuni formaggi dalla spiccata piccantezza, meglio se lungamente stagionati. Sono da evitare dunque gli erborinati che, come tutti sanno, godono di un abbinamento quasi obbligato con i vini muffati. Come sempre quando si parla di abbinamenti non è facile scegliere quello giusto, quello perfetto, anche perché il gusto personale deve rimanere un fattore importante, ma provando e riprovando… Come non citare infine il consumo definito “da meditazione”, ovvero assoluto, davanti ad un camino acceso, in buona compagnia o in compagnia solo di un calice di un grande Barolo Chinato.

Ancora due parole sul grande vino aromatizzato delle Langhe

La storia che vede il vino legarsi alla medicina non è certo riassumibile solo nelle produzioni di Barolo Chinato. Senza andare lontano nel tempo, ma nello spazio sì, basti pensare che uno dei marchi del vino australiano più storici e di successo è legato proprio al nome di un medico, che iniziò la sua avventura producendo vino da utilizzare come corroborante appunto. Lui si chiamava Christopher Rawson Penfold e il suo vino più famoso, il “Grange” (inizialmente conosciuto come “Grange Hermitage”) è una delle etichette più costose dell’enologia australiana.

Ad ogni modo l’elemento che distingue il Barolo Chinato dagli altri esempi è proprio il suo essere rimasto simile alla sua produzione iniziale. Un percorso non senza inciampi come è ovvio, negli anni infatti – visto il successo della dizione “Chinato” (che è diversa dal liquore denominato semplicemente China) – in Piemonte si sono moltiplicati i tentativi di emulazione. Sia tramite prove con Dolcetto e Barbera, le altre due uve molto diffuse nella regione, sia purtroppo con la pratica poco lungimirante di utilizzare per fare il Barolo Chinato le partite meno pregiate di vino. O perché ormai vecchie o, addirittura, perché prodotte con uve Nebbiolo di zone non vocate.

Un processo che, come sempre in questi casi, ha portato la produzione di Barolo Chinato in crisi, facendo precipitare le quotazioni di una delle perle dell’enologia italiana. Come in ogni crisi, comunque, a subire le conseguenze peggiori sono stati proprio gli ultimi arrivati, che quasi sempre non hanno retto l’urto. Il risultato finale è stato quello di una selezione naturale del mercato, nel quale sono rimasti i nomi storici e qualitativamente più importanti. Assaggiare un Barolo Chinato oggi è dunque un’esperienza forse non per tutti i giorni, i prezzi sono giustamente importanti e le produzioni minime, ma la piacevolezza e l’arricchimento che questo vino ci può consegnare rientrano di buon grado tra le migliori esperienze enoiche a disposizione degli appassionati.

Ci salutiamo con un video trovato su YouTube che merita di essere visto… Cappellano: il segreto del Barolo Chinato.

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