Il Valdobbiadene Prosecco Superiore Nino Franco Rustico Brut è al primo posto assoluto della classifica The Enthusiast 100 2019 che ogni anno valuta i migliori vini del mondo.
«È una felice coincidenza, un buon modo per festeggiare i 100 anni della Nino Franco ma, anche e soprattutto, un riconoscimento importante per il nostro territorio. Siamo molto felici. Il mercato americano è stato il mio primo “sogno” quando ho mosso i primi passi in cantina e oggi rappresenta il 12% del nostro export. Possiamo dire che chi ancora nutriva un pregiudizio nei confronti del Prosecco oggi deve farsi delle domande. Noi a quelle domande rispondiamo ogni giorno» racconta Primo Franco, che proprio per festeggiare il centenario della cantina ha firmato per la collana Interferenze di Cinquesensi editore, Prosecco way of life, un libro fondamentale per tutti coloro che coltivano la cultura del vino ma anche per chi inizia ad appassionarsi all’argomento.
Primo Franco, uno fra i principali protagonisti del successo del Prosecco, racconta la storia, l’evoluzione, l’espansione nel mondo del Prosecco, attraverso una lucida, appassionata, divertente narrazione che, con il passo di un’autobiografia, permette al lettore anche e soprattutto di scoprire tutte le peculiarità di uno fra i vini italiani di maggior favore internazionale. Primo Franco lo ha scritto in occasione del Centenario della cantina Nino Franco che lo impegna da quasi 50 anni e, per un felice gioco di coincidenze, nell’anno in cui le colline del Prosecco sono state proclamate Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Un riconoscimento, ottenuto grazie alla capacità delle istituzioni venete di fare squadra, che valorizza la qualità e le imprese di questi viticoltori eroici.
Scrive Tom Stevenson, la massima autorità mondiale nel campo dello champagne e dei vini spumanti, nella prefazione: «Devo fare una confessione. Per i primi venticinque anni della mia vita professionale legata al vino ho ignorato il Prosecco. Il motivo? Normale arroganza, suppongo. Lo snobismo di uno specialista di Champagne che non ha tempo da perdere con un vino messo a fermentare in una grande vasca lucente e venduto qualche settimana dopo che i grappoli d’uva da cui è nato se ne stavano ancora appesi alla vite. (…) Primo esce raramente da queste pagine come una personalità narcisista, risultato notevole in un’autobiografia, ma riesce a passare indenne sopra il campo minato dell’autoreferenzialità grazie al suo senso dell’umorismo venato di autoironia. Mi auguro che questo libro piaccia tanto quanto è piaciuto a me».
Giuseppe Vaccarini, primo tra i Sommelier italiani a ricevere il titolo mondiale e oggi presidente dell’ASPI – Associazione Sommellerie Professionale Italiana, ribadisce: «Oggi Prosecco è anche questo: un fenomeno alla moda. Ma per appartenere a questa categoria, a mio avviso, occorre osservare un rigoroso processo di produzione che inizia dalla vigna e non ammette imprecisioni. La scelta dei grappoli, la tecnica di vinificazione, di rifermentazione, tutto dev’essere eseguito con cura e attenzione. E Primo Franco è un vignaiolo che da sempre rispetta questi parametri. Per questo riconosco nel suo Prosecco un vino effervescente di assoluta qualità. Un’idea che non muta in me da quasi quarant’anni. Da quel lontano 1980 in via Bonvesin de la Riva».
DA “PROSECCO WAY OF LIFE”
Maestri portoghesi
Ma se non fossi stato curioso non avrei neppure messo piede, diversi anni prima e non come cliente, in un ristorante di Londra dalle parti di Leicester Square chiamato Talk of the Town che oggi non c’è più o si è trasformato in un cinese.
Avevo venticinque anni, volevo respirare la swinging London e capire dall’interno come funzionasse un grande ristorante internazionale, così riuscii a farmi assumere come commis di sala.
Il maître era un austero signore portoghese che m’insegnava il mestiere con rigore e disciplina. E che mi diede la migliore spiegazione di come funzionasse un grande ristorante internazionale quando mi affidò il servizio dei petit four: sedici piattini di piccola pasticceria sul vassoio da servire in sala.
Sul palco del ristorante si esibiva Tom Jones, cantante dalla voce potente, ma il frastuono che facemmo io, il vassoio e i piattini quando inciampai e rovesciai tutto per terra oscurò anche il suo acuto più poderoso. Certo che il maître mi avrebbe licenziato in tronco rimasi sorpreso quando con voce glaciale mi disse: “Ora alzati, raccogli, metti a posto e servi in tavola”.
Da allora, ogni volta che mi è capitato di inciampare, ho seguito il consiglio del maître portoghese.
Mi sono alzato, ho messo a posto e ho servito in tavola.
Orgoglio e commercio
Lo dico sempre e voglio ripeterlo qui: appartengo a una famiglia di negozianti, una famiglia, cioè, che ha sempre lavorato comprando le uve e il vino.
Del resto, è questa l’origine di tutti coloro che operano in questo settore da oltre un secolo. Perché dovrebbero imbarazzarmi le mie radici?
In Italia il mercato del vino esiste grazie a infaticabili commercianti che nella prima parte del Novecento hanno saputo costruirlo e farlo prosperare. Sono stati quegli stessi uomini del vino a cambiare il corso della storia dell’intero comparto vitivinicolo italiano, prima adeguandosi alle richieste del mercato e poi interpretandone l’evoluzione.
L’attenzione crescente verso il vino che, impercettibilmente ma con costanza, aumentava giorno dopo giorno, è stata stimolata dai negozianti, categoria alla quale, ripeto, sono fiero di appartenere.
Conoscevo talmente bene la realtà da cui iniziava la mia storia che ho voluto cominciare a modificarla fin dal primo giorno.
America, Primo amore
Andai per la prima volta in America nel 1979. Il mio inglese londinese fu messo a dura prova da quel nuovo modo di parlare la stessa lingua.
Nel giro di pochi anni a Le Cirque al Mayfair Regent, con le fragole, si beveva Prosecco Nino Franco e si traduceva la sua storia italiana in tutte le lingue del mondo. Il mio battesimo americano non avrebbe potuto essere più felice.
Ho ritrovato un ritaglio del Miami Herald del 2 ottobre 1986 in cui John DeMers scrive: «“Il Bellini è diventato un successo planetario fra i cocktail”, ma fu un fallimento assoluto con Hemingway”.
I concentrati di succo, tanto per il Bellini classico quanto per il Carnevale sono facilissimi da usare, anche a casa. È sufficiente mettere tre cucchiai del succo in una flûte da Champagne ghiacciata e riempirla con vino bianco spumante fino a tre centimetri dal bordo, inclinando lievemente il bicchiere». E qui il colpo di scena finale: «Il miglior spumante per un Bellini o un Carnevale, è il mirabile Prosecco di Valdobbiadene DOC Nino Franco.
Roba da stropicciarsi gli occhi: non solo stavamo raccontando all’America una storia dai colori e dai profumi profondamente italiani, ma l’America di chi ancora pranzava a martini cocktail e gin and tonic sembrava pronta a farsi raccontare quella storia.
Forse stavamo dimostrando agli americani che esistono modi meno brutali di bere di quelli che conoscevano loro, che si può bere bene senza doversi per forza stordire, che le sfumature, anche nel bicchiere, sono importanti, più della gradazione alcolica. Quello che Giuseppe Cipriani non era riuscito a far comprendere a un Hemingway ormai perso nei suoi abissi alcolici, cominciava a farsi strada fra i suoi compatrioti. Grazie al Prosecco.
La Cina è lontana
In una cena al Bulgari di Pechino, capolavoro del design però capace di mettere in difficoltà i commensali, mi viene servita una pietanza su un piatto convesso. Noto che le posate scivolano nel piatto e l’impugnatura del coltello si sporca di cibo e rende fastidioso continuare a mangiare. Restituisco il piatto al cameriere e penso bene di avvertirlo: “Be careful with the dish because knife and fork fly!” Di tutto il mio discorso sulla volatilità delle posate, il cameriere coglie solo l’ultimo suono: “fly” e lo traduce brillantemente con la parola “mosca”. “Una mosca nel piatto?” il cameriere adesso è anche bianco come un fantasma, e non riesce a muovere un muscolo. In pochi istanti sopraggiungono il maître e il direttore del ristorante, piegati dalla vergogna e dall’imbarazzo. Riesco a stento a spiegare l’equivoco, nessuna mosca, solo delle posate che rischiano di spiccare il volo. L’ilarità generale che segue smonta la tensione e fa rialzare la schiena al direttore. La mia convinzione che la Cina sia ancora lontana invece non cambia.
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NINO FRANCO. È il nome sinonimo del Prosecco di Valdobbiadene dal 1919. Il filo che unisce Antonio, Nino, Primo e Silvia si chiama qualità. Primo è stato l’artefice della modernizzazione: escludendo tutti i vitigni che non si identificano con il territorio, rinnovando gli impianti, ripensando le tecniche e aggiornando l’immagine del marchio e delle etichette. Nel frattempo, continua la sua stretta collaborazione con dei viticoltori della zona, al fine di sviluppare la sua idea di valorizzazione di questo vitigno. Primo è affiancato dalla moglie Annalisa, che si occupa quasi esclusivamente di Villa Barberina, e dalla figlia Silvia che supporta tutte le scelte produttive, strategiche e commerciali. Oggi, a cento anni dalla sua nascita, il prosecco di Nino Franco è apprezzato in tutto il mondo.