Come e perché il mercato del vino italiano può (deve) ottenere di più nel Regno del Siam. La Thailandia è sicuramente uno dei paesi che merita di essere valutato per l’export. Sono migliaia le etichette italiane che potrebbero facilmente confrontarsi con il mercato Thailandese, incluse quelle di piccoli produttori. Ad oggi la penetrazione dei vini italiani è non confacente al primo produttore mondiale; il problema sta nel metodo, andiamo ad analizzarne i perché.
Le strategie di vendita tradizionali qui non portano risultati
L’Amico coi contatti giusti – Molti, forse tutti, i produttori hanno provato più volte ed in diversi paesi a vendere usando la tecnica “ti mando dei campioni ed un catalogo ed aspetto gli ordini”. Non so cosa sia successo negli altri paesi, ma qui in Thailandia i campioni se li sono bevuti tutti tra eventi “istituzionali”, business match e serate nei ristoranti italiani (amici degli amici). Ordini, naturalmente, non ne sono arrivati, con vaghe giustificazioni “eh, sai, le barriere, le tasse, la dogana…”
Le 100.000 email mai lette – In Asia la tecnica del mailing non sortisce effetto, soprattutto in Thailandia. Le barriere linguistiche (i Thailandesi hanno poca familiarità con la lettura del nostro alfabeto) e la loro congenita avversione alle email rendono ogni relazione a distanza impossibile. Provare per credere.
Il Distributore – Il mercato Thailandese del vino è per la maggioranza in mano agli stranieri: i francesi gestiscono prodotti francesi, gli americani quelli americani, e così via. Restano quindi come interlocutori i soli importatori di origine italiana.
Vediamo chi sono.
- Tre grossi importatori specializzati in food & wine (con fatturati sopra i 500 Milioni di Baht), uno dei quali importa quasi esclusivamente vini. Quest’ultimo acquista direttamente in Italia da produttori con i quali ha rapporti consolidati. Gli altri due sono grossi gruppi Italiani che hanno rilevato negli ultimi anni aziende Thailandesi con portafoglio clienti nel settore HoReCa e GDO. Hanno in seguito inserito prodotti di bassa qualità ed alto profitto, tagliando di fatto fuori i piccoli produttori di eccellenza. Vendere a loro significa SVENDERE.
- Alcuni piccoli importatori che hanno altre attività commerciali in Thailandia da anni, e che sono ormai radicati. Hanno basso potere di acquisto (pochi capitali) ma qualche buon contatto. Coprono aree geografiche limitate e fanno piccoli quantitativi (mediamente un paio di container l’anno di prodotti misti), anch’essi seguendo “il miglior prezzo”. Vengono solitamente a comprare in Italia nei periodi di bassa stagione. La maggior parte di loro ha vita breve, generalmente entrano in crisi finanziaria (e personale) dopo un paio d’anni se non riescono a fare il salto di qualità.
- Molti avventurieri desiderosi di trasferirsi nel paese del sorriso, alla ricerca di una fonte di guadagno; generalmente non sono ancora consapevoli che qui il business è difficile per chi non è realmente radicato nella società. Sono I migliori fornitori di “free samples” per molti expat senza scrupoli, che promettono di acquistare e poi… Beh, la storia la conoscete: le tasse, le barriere, la dogana…
Le Fiere: minimo risultato col massimo sforzo – Venire a “fare la fiera” (il Thaifex di Bangkok è la più importante del SE Asiatico) senza una preventiva opera di raccolta di contatti, selezione, ed inviti personalizzati, equivale ad andare a Chicago sperando di incrociare per strada Barack Obama. Il servizio di scouting può essere richiesto ad ICE o alle Camere di Commercio, ma il rischio di tale operazione è di spendere capitali importanti per avere dei contatti che, come detto, assaggeranno i vostri prodotti, saranno cortesissimi e non vi risponderanno alle email. Non per mancanza di rispetto, ma per cultura locale.
Alzare la marginalità e valorizzare la qualità del vino italiano si può, anzi si deve!
Perché mai allora si dovrebbe considerare la Thailandia come possibile mercato?
Semplice: perché con il panorama sopra descritto (e che dimostrerò con cifre ufficiali) il vino italiano è ancora all’esordio della propria storia commerciale Thailandese. A condizione che si cambi approccio.
Strategicamente, ahimè. Francesi ed Americani hanno molto da insegnarci. Hanno creato unità locali, si sono consorziati, hanno uffici in loco ed ambasciate (uffici commerciali) che li aiutano effettivamente ed attivamente. Noi italiani restiamo degli individualisti e ne paghiamo il prezzo. Dimostrazione ne siano due dati IMPORTANTISSIMI (vedi tabella 1 e 2 ):
- le quote di mercato dei vini italiani non raggiungono il 6%, contro il 42% della Francia ed il 9% degli USA. Notare che questi nostri competitor non hanno nessun vantaggio in termini di dazi ed accise, come al contrario hanno Australia, Nuova Zelanda e Chile.
- Il valore per litro dei vini di ciascun paese: il vino USA viene importato ad un prezzo medio (dichiarato in dogana, ndr) di 299 THB (8,5 EUR!), quello Francese di 216 THB (6,2 EUR), quello Italiano di 84 THB (2,4 EUR). Considerando che stiamo parlando del prezzo che dichiara l’importatore, significa che i produttori italiani stanno vendendo i migliori vini del mondo ad un prezzo inferiore a quello potenziale, a meno che non mi si voglia far intendere che in California fanno un prodotto qualitativamente tre volte superiore al nostrano.
Come noterete nella tabella qui sotto, tra il 2017 ed il 2018 TUTTI i paesi produttori hanno alzato il prezzo medio a litro, cosa che non succedeva da anni. Perché?
È tutto merito del Custom Act del 2017 (scommetto che alle riunioni “istituzionali” non ve lo hanno detto), che ha cambiato l’ammontare dei dazi, riducendoli, e del calcolo delle accise, considerate una “wine tax” di un tot a litro. Va da se che i prodotti economici pagano in proporzione più accise degli altri, fino ad un certo livello. Abbiamo individuata la soglia a circa 7 EUR, pertanto la fascia di prodotti ad oggi più convenienti da importare in Thailandia è tra i 4 ed ì 6,5 EUR su base CIF. E noi stiamo vendendo a 2,4 EUR…
Riassumendo, noi italiani stiamo vendendo poco e male in Thailandia. Ma perché mai dovremmo preoccuparcene?
Perché puntare sulla Thailandia?
Perché è il mercato emergente più forte del SE Asiatico, con gli indici economici favorevoli, ma soprattutto con una media-borghesia dal potere di acquisto in rapida crescita.
Perché ha il terzo consumo di bevande alcooliche in Asia dopo Korea e Vietnam, davanti a Cina e Giappone.
Perché è un mercato STABILE, checché ne dicano le “istituzioni” preoccupate per una democrazia della quale, in Thailandia, pochi si preoccupano. Tant’è che il “dittatore” che ha governato fino al 2019 grazie al golpe del 2014 è stato ora eletto con elezioni democratiche e regolari.
Perché Il consumo di vino (dati doganali, ad valorem) è in costante crescita e non è mai stato influenzato da maggiori eventi negativi quali tsunami, colpi di stato, rivolte e persino un anno di lutto per la morte del compianto Re Bhumibol. Nella tabella 3 i valori fino al 2017. Il 2018 ha chiuso con un record di 2,3 miliardi di Baht, ovvero +30% proprio grazie al Custom Act di cui abbiamo parlato in precedenza.
Perché la Thailandia è l’hub dell’ASEAN (630 milioni di consumatori); una volta entrati qui, si aprono i mercati dei paesi confinanti, con i quali non vi sono barriere commerciali o dazi.
Ultimo, ma non meno importante, perché il mercato del vino in Thailandia dipende esclusivamente dall’import. La scarsissima produzione locale è di pessimo livello ed ha costi proibitivi (dovuti agli enormi investimenti) ed alle caratteristiche del terreno, del clima, dei parassiti, che ne rendono il future molto incerto.
Se siete arrivati fin qui probabilmente vi state chiedendo: “bene, ed allora?”
Una proposta per vendere. subito.
Allora ecco qui la proposta: associazione ad un consorzio Thailandese (Italian Food Asia) di vendita di prodotti alimentari Italiani (cibi conservati non prodotti localmente e vini) che permette ai produttori Italiani, non importa di quali dimensioni, di entrare direttamente sul mercato con un spesa minima. Tutto è incluso: registrazione in FDA, assistenza doganale legale e commerciale, magazzinaggio, ufficio di rappresentanza (a vostra disposizione per meeting, ma solo se vorrete venirci a trovare!), show-room, sales network, promozione web, eventi sul territorio. Il tutto finanziabile da contributi EU o locali (chiedete alle vostre Camere di Commercio i bandi per export ed internazionalizzazione).
L’unione fa la forza ed abbatte i costi. Per saperne di più, basta una mail a admin@italianfood.asia
Chi siamo? Siamo Italian Food Asia, brand di Kha Group, gruppo di aziende Thailandesi a management italiano, che importano e vendono prodotti healthcare ed alimentari. Anche noi abbiamo unito le forze, includendo nel nostro gruppo tutte le competenze che servono al processo di import e vendita: dal regolatorio (registrazione in FDA) al marketing, alla vendita sul canale HoReCa (400 clienti già attivi e rete di rappresentanti), agli aspetti legali.
Per maggiori informazioni:
Diego Sala
Pre market specialist in Kha Group Thailand
Sono interessato a diverse cosepino romano
Salve Pino, ti consiglio di contattare direttamente Diego Sala, cercalo su .