Tokyo, Osaka, Wakayama e Yokohama: ecco alcune delle tappe del viaggio in Giappone di Tenuta Mazzolino, piccola cantina gioiello situata nell’omonimo borgo antico di Corvino San Quirico: venti ettari vitati, sulla riva destra del Po, nella zona collinare a ridosso degli Appennini, nel cuore dell’Oltrepò, in provincia di Pavia, una terra fatta di sapori e tradizioni tutti da scoprire.
La stagione della fioritura dei ciliegi è ormai conclusa, ma il Sole Levante resta una meta intrigante, soprattutto se – anziché alla tradizione dell’Hanami ovvero del “guardare i fiori” – si è interessati al mondo vitivinicolo. Recenti ricerche riferiscono, infatti, di come le importazioni agroalimentari – vino compreso – verso questo Paese siano cresciute in un decennio (2008-2018) del +51%. Il Made in Italy rappresenta solo l’1,5%, ma è un dato destinato a crescere grazie all’accordo di libero scambio con l’Europa, entrato in vigore il 1° Febbraio scorso.
Francesca Seralvo, terza generazione della Famiglia Braggiotti, oggi alla guida della cantina e l’enologo Stefano Malchiodi sono partiti alla volta del Giappone e dei ristoranti che hanno in dotazione le loro etichette, guidati dalla loro importatrice in un viaggio in “un mercato di nicchia”, conferma Francesca Seralvo, “ma super interessante, dove l’attenzione è tutta rivolta alla qualità dei vini e non al loro nome e dove le Doc hanno tutte la stessa rilevanza”. E a dirla tutta, Mazzolino è stato lungimirante in questo, iniziando a esportare in questo Paese 20 anni fa. “Una collaborazione nata per caso: un signore giapponese che lavorava in un ristorante della nostra zona ha assaggiato i nostri vini e, una volta rientrato, li ha segnalati a una struttura locale. E da lì ha preso il via tutto!”
Oggi Tenuta Mazzolino esporta il 50% delle sue 120mila bottiglie – 8 etichette, cinque bianchi e tre rossi – menzionate dalle guide più autorevoli per la loro finezza ed eleganza. Il Giappone rappresenta il secondo mercato dopo gli Usa e contribuisce per circa il 10% al fatturato. E con ottime prospettive di crescita, vista la grande attenzione alla qualità in senso assoluto e senza compromessi.
Della cantina dell’Oltrepò, le preferenze vanno in primis – sorprendentemente – ai due metodi classici: il Blanc de Blancs, 100% Chardonnay, dal profilo elegante, complesso e ispirato alla scuola enologica della Borgogna e il Rosé Cruasé DOCG, Pinot Nero 100%, dimostrazione di una vocazione innata del territorio alla spumantizzazione. A seguire i due Pinot nero – Noir e Terrazze – e i due Chardonnay, Blanc e Camarà.
“In un mercato particolarmente esperto nella valutazione degli aspetti qualitativi non si notano particolari preferenze tra varietà autoctone e internazionali”, spiega Stefano Malchiodi. “E, tra le regioni italiane che meglio performano, troviamo Lombardia, Emilia Romagna e Campania che, pur vantando una tradizione enologica, sono certamente meno rinomate di colossi come Toscana e Piemonte”.
Il mercato nipponico, dunque, non è da sottovalutare viste le enormi possibilità di crescita, soprattutto per Made in Italy che, rispetto ad altri Paesi importatori – vedi Francia e Cile –, deve ancora giocare tutte le sue carte.
La qualità è una conditio sine qua non irrinunciabile in un Paese che “vanta anche degustatori molto bravi e competenti, formatisi in Italia e che parlano la nostra lingua – ma non l’inglese -, per loro il vino è prima di tutto emozione”, conclude Francesca. Ed è qui che il vino italiano – ricco di storia e di passione – può davvero fare la differenza.