Tante varietà, decine e decine di etichette, ma una sola terra che lo differenzia dal vicino (solo geograficamente) cugino campano. Perché è proprio per il suo terroir vulcanico che i lucani, fieramente, amano contraddistinguere l’Aglianico del Vulture rispetto all’antichissimo vitigno campano più diffuso al sud, quello coltivato e prodotto fra Sannio ed Irpinia. Terreno magmatico, pietra lavica e roccia tufacea come nelle cantine tipiche della Basilicata, che fa la differenza all’atto dell’esame organolettico. Vino rosso per eccellenza dalle note aromatiche talvolta più marcate, viste le pratiche di invecchiamento ed affinamento in barrique che ne determinano la particolare lucentezza e struttura.
L’Aglianico del Vulture ha corpo, ha sfumature che malgrado gli anni tendono a malapena verso il granato. Il rubino tipico dei vini giovani arriva a durare anche più anni, sia nelle più diffuse bottiglie di Doc che nella sua variante di Aglianico Superiore, l’unica Docg del territorio. Accompagnare i piatti tipici di carne, formaggi e salumi locali con un ottimo Aglianico Vulture è un piacere per i sensi. Anche le paste fresche della tradizione o le castagne melfesi, tipiche di questa stagione, si abbinano perfettamente al nettare che il vulcano spento offre al visitatore. Cantine dovunque, in ogni parete di roccia ed ogni valle del panorama melfese, offrono nella stagione autunnale assaggi di aglianico o altri vini della zona ai passanti. Caratteristiche per la loro forma a caverna scavata nel tufo, piccoli buchi nella roccia come lungo la celebre via delle cantine a Barile (scenario da film che stregò Pasolini negli anni ’60).
I viticoltori locali spiegano come grazie al tufo sia possibile mantenere la temperatura ideale (18-20°) per il rosso, servendolo durante eventi quali ‘Cantine aperte a San Martino’ , le sagre di paese come la ‘Varola’ a Melfi, oppure l’Aglianica Wine Festival di Rionero in Vulture – quest’anno eccezionalmente spostato al ponte dell’Immacolata. Complice un ottobre caldo, con scarse piogge, è ancora più invitante gustare i frutti di una vendemmia che quest’anno è stata leggermente anticipata rispetto agli standard. Tornando alle note aromatiche dell’aglianico, nel calice le sensazioni spaziano dal gusto un po’ legnoso e tannico di alcune grandi firme della zona all’aroma floreale di altre, soprattutto per la presenza di solfiti. Ma ciò che ne caratterizza sopra ogni cosa la specie è la gradazione alcoolica : 14,5% nel rosso Vulture con uve aglianico 100%. Mai mescolata con altri vitigni a bacca nera, o almeno di ciò vanno fieri alcuni vignaioli melfesi parlando della loro creatura.
Tuttavia la Basilicata in questo suo lembo a nord di Potenza, offre anche altri vini frutto di diverse uve. Dalla Malvasia per il bianco, tipica del fresco Grottino di Roccanova (anche rosso e rosato) al Moscato nelle sue varianti lucane; fino al Primitivo di influenza pugliese, in zone più vicine al confine. C’è addirittura chi parla della presenza in ristrette quantità di grappoli del Montepulciano abruzzese, forse di “importazione” e talvolta mischiato ad uve di Sangiovese o malvasia nera di Basilicata. Ma l’Aglianico Vulture Doc e Docg Superiore non hanno pari, non vengono mai ibridati con altri vitigni. Un ottimo acquisto per gli amanti del buon vino, tanto da essere battezzato il “Barolo del sud” a paragone dell’antagonista piemontese intenso e penetrante al naso. La persistenza del Vulture lascia in bocca tutto il suo sapore, avvolgendo lingua e palato. Prezzo medio a bottiglia che oscilla fra 8 e 15 euro per la Doc, mentre va intorno ai 30 euro per la Docg Superiore.